Pensate un attimo a tutte le app e i servizi web che siamo abituati ad utilizzare quotidianamente: Facebook, Instagram, Youtube, Spotify, TikTok, Twitch ecc… Cosa succederebbe se domani tutte queste piattaforme social scomparissero?
Tutti i nostri contenuti ed il nostro alter ego digitale sparirebbe insieme a loro.
Per alcuni significherebbe perdere soltanto qualche fotoricordo o qualche “stato” imbarazzante risalente al 2011. Per altri, che hanno costruito parte del proprio reddito basandosi sugli strumenti offerti da queste piattaforme, significherebbe rischiare di compromettere il proprio lavoro.
Mi riferisco agli influencer, youtuber, streamer, imprenditori digitali e più in generale a tutti i creatori di contenuti che ogni giorno producono post e video rivolti alle community social e che tutti quanti consumiamo avidamente, quasi come se fosse diventato ossigeno.
Prima di procedere con questo tema vorrei fare una breve digressione per aiutare anche i più giovani a capire come siamo arrivati a questo punto, perché non è sempre stato così.
Web 1.0
Gli albori del web (raggiungibile al pubblico) si attestano attorno alla prima metà degli anni 90. Nonostante il progresso tecnologico di quel decennio, internet ha mantenuto caratteristiche simili fino alla prima metà degli anni 2000.
La maggior parte degli utenti erano consumatori di contenuti. Chi contribuiva alla “costruzione di internet” erano gli sviluppatori che costruivano siti web contenenti informazioni statiche per lo più sotto forma di testo o immagine.
In generale i siti dell’epoca non fornivano grande interattività e navigare sul web voleva dire saltare da un sito preferito all’altro alla ricerca delle ultime news sui propri temi di interesse.
Produrre contenuti sul web, ovvero creare un sito, era una cosa per pochi per via della mancanza di competenze e per il costo degli sviluppatori, non accessibile a tutti.
Web 2.0
La grande innovazione nel mondo web, che lo ha portato alla forma attuale che conosciamo tutti, è avvenuto verso la metà degli anni 2000.
Nel panorama del web 2.0 non bisogna essere sviluppatori per diventare creatori di contenuti e molte piattaforme sono costruite sulla base di questo concetto.
Grazie anche all’avvento degli smartphone, che hanno dato accesso al web alla maggior parte della popolazione, oggi condividere un pensiero, una propria fotografia o un video su un social network è alla portata di tutti. Chiunque può contribuire nel web 2.0 e rendere accessibile il proprio contributo a milioni di persone potenzialmente.
Nella sua seconda versione il web è diventato molto più semplice e ha permesso di connettere il mondo generando un senso di comunità inimmaginabile prima dell’era di internet.
Il potere sconfinato accumulato da queste piattaforme social ci ha permesso però di evidenziare alcune aree in cui internet può sicuramente migliorare.
Punti deboli del web 2.0 – Monetizzazione, sicurezza e tutela dei creatori di contenuti
Questo non è da considerarsi un elenco esaustivo dei punti deboli del web 2.0 ma rappresenta semplicemente un focus relativo al tema di questo articolo.
Monetizzazione
Il processo di evoluzione affrontato da tutti i grandi colossi del web ricalca grosso modo i seguenti step:
- Lancio di un nuovo servizio
- Acquisizione del maggior numero di utenti possibile
- Monetizzazione della propria base di utenti
Come avrete potuto notare molte delle applicazioni che utilizziamo quotidianamente sono partite da piccole aziende che con il tempo hanno acquisito fondi o sono state acquisite a loro volta da aziende più grandi.
Chi ha investito in queste società ha percepito la possibilità di fare grandi guadagni (o grandi flop). Fa scuola il caso di Instagram, azienda fondata nel 2010 e acquisita insieme ai suoi 13 dipendenti nel 2012 da Facebook per 1 miliardo di dollari.
Tutte queste applicazioni prevedono varie forme di monetizzazione:
Servizi free (il prodotto sei tu):
- Vendita dei dati personali degli utenti
- Advertising verso gli utenti
Servizi a pagamento:
- Subscription: abbonamento a servizi
- A consumo: paghi quello che utilizzi
Sicurezza e privacy
La maggior parte delle principali piattaforme dedica tantissime risorse alla sicurezza dei dati degli utenti, per ovvie ragioni. Ciononostante i data breach (furti di dati personali degli utenti) sono all’ordine del giorno e rappresentano ad oggi uno dei più grossi rischi del web.
Nel web 2.0 gli utenti non hanno nessun controllo dei propri dati personali e soprattutto non hanno idea di dove e come questi dati vengono conservati. Addirittura in certi casi vengono raccolti dati senza il consenso e la consapevolezza degli utenti.
Queste piattaforme possono inoltre esercitare una censura, secondo regole definite da loro, in base al proprio piacere. Possono decidere se e quando oscurare un utente (Trump vs Twitter) oppure possono diventare uno strumento utilizzato per perseguitare gli oppositori di governi non democratici.
Per quanto possiamo auspicare che queste piattaforme operino con l’obiettivo del bene comune rappresentano comunque entità private e centralizzate che con il potere a loro disposizione possono influenzare la politica e la società.
Tutela dei creatori di contenuti
Ad oggi grazie alla creator economy milioni di persone possono percepire un guadagno sfruttando queste piattaforme social. Questa tendenza ha permesso sia ai micro influencer che sponsorizzano attività locali sia ai più famosi youtuber di percepire un guadagno ed inventare un lavoro che fino a 15 anni fa non poteva nemmeno essere immaginato.
I più intraprendenti di loro sono riusciti a costruire un personal brand o un’azienda anche al di fuori delle piattaforme stesse. Cosa che gli ha permesso di aumentare e diversificare le proprie fonti di reddito e di scindere la propria attività lavorativa dai social.
La maggior parte però non è stata in grado di rendersi indipendente dalle piattaforme, legando la propria fortuna all’esistenza delle stesse.
Diventa importante quindi ricordare che:
- Tutti i video caricati su Youtube sono di proprietà di Youtube.
- Tutte le foto caricate su Instagram sono di proprietà di Instagram.
- Tutti i tweet su Twitter sono di proprietà di Twitter.
- Tutti i post su Facebook sono di proprietà di Facebook.
- Tutti i V-Bucks posseduti su Fortnite sono di proprietà di Fortnite.
Non esiste un modo per esportare questi contenuti, ed il valore collegato ad essi, al di fuori delle piattaforme stesse. Questo implica che quello che reputiamo di possedere non è affatto nostro, ma è semplicemente legato al nostro account confinato all’interno dei limiti della piattaforma stessa.
Bisogna inoltre notare che il ritorno economico ottenuto grazie a queste piattaforme è solamente una piccola percentuale del ricavo totale maturato da queste piattaforme grazie al contributo dei creatori.
Certo, la maggior parte potrebbe pensare che è sempre meglio di niente. Ma immagino che più di uno si sia già posto la domanda:
potrebbe esistere una soluzione migliore?
Web 3.0
Ad oggi si sta delineando un nuovo trend tecnologico che va sotto il nome di Web3 che ha l’obiettivo di creare una nuova architettura in grado di ripensare l’interazione tra gli utenti e i servizi ospitati su internet.
Il web 3.0 (o web3) è un miglioramento del web 2.0 e si basa sul concetto di decentralizzazione, reso possibile grazie agli sviluppi tecnologici introdotti dalla tecnologia blockchain.
La tecnologia alla base del web3 gli garantisce le seguenti caratteristiche:
- Verificabilità: ogni transazione all’interno del web3 è tracciata e può essere quindi verificata.
- Trustless: si traduce letteralmente in “assenza di fiducia”, significa che non è necessario predisporre un ente terzo certificato che garantisce sulle transazioni. Questo è reso possibile dalla natura stessa della tecnologia blockchain e dal fatto che le transazioni siano certificate dai singoli nodi che realizzano le transazioni stesse.
- Auto-governato: le regole alla base della blockchain sono definite nel protocollo e sono rese sicure da algoritmi criptografici e da sistemi di controllo nativi.
- Distribuito e robusto: le applicazioni vengono eseguite sui singoli nodi in modalità distribuita e i protocolli blockchain sono progettati per non rendere vantaggiosa ai nodi stessi la violazione.
- Stateful: lo stato è salvato nei registri che costituiscono la rete stessa, come se fosse un enorme database distribuito
- Pagamenti nativi: lo scambio di valore è nativo all’interno del protocollo, attraverso l’utilizzo di criptovalute come per esempio i token (fungibili o non fungibili).
Decentralized Apps
Al giorno d’oggi gli sviluppatori stanno già realizzando applicazioni per il web3, chiamate decentralized apps (Dapp), che non vengono quindi eseguite su un singolo server e non storicizzano i dati su un singolo database. Bensì, queste applicazioni sono eseguite e storicizzano i propri dati su molteplici nodi grazie alle caratteristiche del web3 appena citate.
Per garantire la sicurezza e la stabilità della rete decentralizzata gli sviluppatori sono incentivati a fornire servizi di alta qualità. Questo è reso possibile grazie ai token prodotti da queste Dapp che forniscono un incentivo finanziario per chiunque voglia contribuire al mantenimento e al miglioramento di questi progetti.
Una volta pubblicata un’applicazione decentralizzata i consumatori che usufruiscono del servizio pagano direttamente i creatori del servizio stesso, senza intermediari a differenza di come avviene attualmente, e chiunque possiede un token di quel progetto potrà beneficiare dei suoi guadagni.
Nel web3 i pagamenti saranno nativi nel protocollo stesso che sostiene l’intera rete e non saranno più abilitati da servizi terzi (come Stripe, PayPal e i vari circuiti bancari) che hanno costruito la propria fortuna sull’intermediazione delle transazioni.
Ad oggi ci sono tantissimi progetti attivi su varie blockchain come per esempio Ethereum, Solana, Tron e altre. Potete esplorare tantissime Dapp esistenti su DappRadar – the World’s Dapp Store.
Token economy e Internet of Value
La blockchain ha permesso la nascita di una nuova economia basata sui token che possono rappresentare quindi:
- una riserva di valore
- un bene di consumo
- un bene di capitale
e possono avere i seguenti utilizzi:
- moneta di scambio per effettuare acquisti in una Dapps
- rappresentare l’equivalente delle azioni di una società e crescere con la crescita del valore della stessa
- utilizzate per sostenere il funzionamento stesso delle Dapps
è possibile acquistare e scambiare token e per farlo è necessario avere un wallet specifico per la blockchain su cui è distribuito il servizio che si sta utilizzando come per esempio Metamask su Ethereum o Phantom su Solana.
L’identità dell’utente è garantita dall’indirizzo del proprio wallet che è anonimo e necessita di una password ed una chiave (ma non di username o email a differenza del web2). È possibile utilizzare lo stesso wallet su varie Dapp permettendo quindi di trasportare i token di una qualsiasi Dapp all’esterno della stessa.
Queste applicazioni decentralizzate non basano i propri modelli di business sulla raccolta dei dati degli utenti, andando a ristabilire quella storpiatura generata nel web 2.0.
Figo no? 😀
Questo permette quindi di reinventare il paradigma attuale di internet, andando a creare il concetto di Internet of Value ovvero una rete in cui ogni transazione e contenuto ha un valore intrinseco che è attribuito all’utente che lo possiede e può essere scambiato sulla base delle regole che governano la rete stessa.
E quindi se domani le piattaforme social scomparissero? Cosa dobbiamo aspettarci dal web3?
Purtroppo se domani le piattaforme social scomparissero allo stato attuale non ci sarebbe modo di recuperare ed esportare il valore prodotto dagli utenti attraverso le stesse.
Sono più che sicuro che i grandi colossi del web non siano rimasti con le mani in mano mentre il web3 nasceva nel sottobosco, vero Meta?
Siamo però ottimisti su quello che ci possiamo aspettare dal nascente paradigma di internet. Una rete sicura e governata in modo decentralizzato che permetta di restituire il valore a chi contribuisce alla rete stessa e sottrae il potere agli intermediari che hanno imperato fino ad oggi.
Esistono già Dapp dove ogni immagine, video e post è identificato da un token generato dal creatore di contenuti e che può essere venduto a terzi, mantenendo però la paternità dello stesso e quindi una rendita sui futuri scambi.
Sono i vari marketplace NFT come SuperRare e OpenSea (e tanti altri ancora) dove è già possibile creare o acquistare token che verranno posseduti nel proprio wallet e potranno essere riutilizzati in altre Dapp.
Esistono già i cloni nel web3 delle principali piattaforme esistenti (Twitter, Instagram, Spotify, Reddit, Dropbox ecc…) ed è possibile che alcune di essi andranno a sostituire i corrispettivi attuali.
Personalmente credo che, come dopo ogni rivoluzione tecnologica, nasceranno nuovi paradigmi e nuovi modelli di business che renderanno obsoleti quelli attuali. Sarà compito degli innovatori individuare le opportunità offerte da questa nuova tecnologia e starà alla loro bravura andare a colmare le esigenze che emergeranno nel nuovo mercato.
In conclusione
Ci sarebbero tantissimi concetti da esplorare nell’universo del web3 (Initial Coin Offering, Non Fungible Token, Decentralized Finance, Decentralized Autonomous Organization) ma sarebbe impossibile trattarli in un solo post.
Ho voluto introdurre nel mio blog questo argomento partendo da uno strumento utilizzato da tutti (i social) e provando ad interpretare come questa nuova tecnologia potrebbe stravolgere lo stato attuale di internet.
Sperando di riuscire ad incuriosire più persone possibile vi invito a mandarmi il vostro feedback su questi argomenti e soprattutto a farmi sapere se c’è qualcosa che vi piacerebbe approfondire.
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